Passione e Precisione si Incontrano nella Creazione del Superlab di ‘Breaking Bad’ Ecco come l’artista Luke Penry ha usato Redshift per portare in vita l’iconico laboratorio.
L’artista inglese Luke Penry ha creato quello che si può definire un capolavoro: una replica perfetta e renderizzata del laboratorio di “Breaking Bad”. Fedele allo spirito della serie, con dettagli mozzafiato e un livello incredibile di specificità, questo progetto è davvero da ammirare.
Il progetto di Penry, traboccante di adorazione per il soggetto trattato, è di ispirazione per gli artisti 3D che vorrebbero testare le proprie abilità con progetti personali a dir poco grandiosi. Abbiamo parlato con lui a proposito dei suoi cinque anni di percorso e di come ha sfruttato 3ds Max, Redshift, Premiere Pro e After Effects.
Parlaci un po’ di te e di come sei entrato nel mondo del 3D.
Penry: Sono un generalist 3D, vivo nel sud di Londra e lavoro con il 3D da circa dieci anni. All’inizio lavoravo principalmente come graphic designer, poi un amico dell’università mi ha introdotto al 3D e al motion design. Avevo già una buona familiarità con l’animazione 2D e il passo successivo era senza dubbio il 3D. Così ho deciso di imparare e da lì tutto è iniziato.
Dopo aver cominciato con After Effects e Flash, mi sono reso conto delle infinite possibilità che il 3D aveva da offrire. Ho anche capito che avrei potuto realizzare immagini e animazioni davvero realistiche, cosa che al tempo non credevo possibile, così ho aggiunto gli strumenti 3D al mio workflow. Adoro farmi trasportare da un progetto e seguirne lo sviluppo dall’inizio alla fine, ed è questo il motivo per cui sono diventato un generalist.
Ho ottenuto il mio primo lavoro nel motion design circa otto anni fa e da quel momento ho sempre lavorato con il 3D. Passo molto tempo a sviluppare uno stile per i miei progetti personali che mi piace condividere sul mio profilo Instagram.
Cosa ti ha ispirato per il tuo progetto personale basato su “Breaking Bad”?
Penry: Secondo me “Breaking Bad” è la miglior serie che sia mai stata realizzata, soprattutto penso che lo stile, il mood e il ritmo dello show siano rimasti sempre coerenti e non perdano mai nulla durante tutte le stagioni. E poi ha il miglior finale di qualsiasi altra serie che ho visto, mi fa ancora rabbrividire ogni volta che lo vedo.
Per quanto riguarda l’aspetto fan art invece, credo che tutti di solito tendano a creare qualcosa basandosi sul camper o sul personaggio di Walter White (interpretato da Bryan Cranston), ma per qualche ragione il set più iconico per me è sempre stato quello del laboratorio. È proprio lì che si svolgono tanti momenti chiave della storia!
All’inizio avevo pensato di creare una mosca che si arrampicava su un granello di metanfetamina o qualcosa di simile, e avevo iniziato a sviluppare una macro ripresa con la metanfetamina in primo piano e le attrezzature da laboratorio sfocate sullo sfondo. Poi però ho pensato che sarebbe stato divertente realizzare nel dettaglio tutta la strumentazione Da lì è partita una valanga di idee e mi ci sono lasciato trasportare. E ora finalmente, dopo cinque anni di lavoro saltuario, sono riuscito a completare questo progetto!
Nella serie c’è una scena in cui Gus porta per la prima volta Walt all’interno del laboratorio. La musica in sottofondo dà un senso di meraviglia a questo nuovo ambiente, ed è qualcosa che mi è sempre rimasto impresso. Volevo riportare quella stessa magia all’interno del laboratorio, ma con l’aggiunta di una sorta di “look after-hours” e volevo presentarlo in un modo diverso rispetto a quello della serie, con riprese ravvicinate che mostrassero l’attrezzatura nel dettaglio.
Questa tuttavia si è rivelata una sfida molto impegnativa perché tanti dettagli non vengono propriamente mostrati nella serie. Ho dovuto quindi fare ricerche molto estensive sulle foto e sui video dei retroscena per documentarmi nel dettaglio.
Fortunatamente, nello show spesso utilizzano frasi tecniche come “ossido di torio per un letto catalitico” oppure “serbatoio di reazione da 200L”, così è stato più semplice per me capire quello che c’era scritto sulle etichette di avvertimento sfocate e poi trovare delle immagini a risoluzione più alta di alcune attrezzature effettivamente utilizzate sul set.
Parlaci di come hai usato Redshift e 3ds Max.
Penry: Quando ho iniziato a lavorare al progetto non sapevo quanto in là sarei potuto andare. Alla fine, dopo aver costruito e texturizzato l’intero laboratorio, mi sono reso conto che non sarei mai riuscito a realizzare il rendering con il mio PC di casa. Così, dopo aver fritto la mia CPU e averne comprata una nuova, sono stato obbligato a trovare un nuovo modo per completare il progetto. Ho deciso quindi di abbandonare il mio workflow basato sulla CPU e sono passato ad un rendering basato sulla GPU. È qui che 3ds Max e Redshift sono entrati in campo.
Mi piaceva Redshift perché per me è sempre stato comodissimo, così come 3ds Max. Fortunatamente il mio computer al lavoro aveva sia 3ds Max che Redshift, quindi sono riuscito a completare il rendering senza problemi. Nonostante fossi riuscito a fare la maggior parte del lavoro con il mio computer di casa, mi sono reso conto infatti che avrei dovuto modificare completamente tutte le luci e le texture, e Redshift era la scelta migliore per farlo, soprattutto per la sua velocità.
Ad un certo punto del processo ho dovuto interrompere il progetto per diversi mesi e durante quel periodo l’ufficio dove stavo lavorando era passato ad un workflow basato sulla GPU. Abbiamo testato vari motori di rendering e alla fine abbiamo deciso di utilizzare Redshift. Sono rimasto davvero sconvolto della sua velocità e mi sono reso conto che avrei potuto sfruttare a mio vantaggio questa nuova potenza di rendering e completare il progetto del laboratorio. L’unico problema era che avrei dovuto rielaborare quasi tutto da zero!
Ed è quello che ho fatto! Ho ricostruito tutta l’illuminazione e le texture in circa tre o quattro mesi, una velocità folle se pensate che ci lavoravo solo dopo l’orario di lavoro. Da lì in poi ho sempre usato Redshift. Penso che i risultati così ottenuti siano nettamente superiori a tutto quello a cui avevo lavorato fino a quel momento.
La somiglianza tra il movimento camera nel tuo video e quello utilizzato nella serie è intenzionale?
Penry: Sì, certamente! Speravo che una volta o l’altra Vince Gilligan, creatore e direttore della serie, avrebbe visto il video. Così ho voluto rendere omaggio allo stile di ripresa per cui la serie viene sempre ricordata. Ad esempio, ho simulato il movimento delle riprese con telecamera manuale e ho imitato il famoso “Breaking Bad shot” in cui la telecamera si trova sotto o all’interno di superfici, riprese che sembrano impossibili. Mi piace pensare al progetto come ad uno show “Breaking Bad: After Hours”. Non so se Vince abbia visto il video alla fine. Se l’ha fatto, spero gli sia piaciuto!
È stata una sfida riuscire a rispettare il tono cromatico di “Breaking Bad”?
Penry: Sì, devo ammetterlo. Il look generale cambia in base a ciascun episodio, adeguandosi al mood e alle sensazioni che ogni puntata presenta. Non ricordo nello specifico su quali episodi mi sono basato, ma comunque ho cercato di creare una specie di mix dell’intera serie.
Non sapevo molto dell’arte del color grading prima di lavorare a questo progetto, quindi ho acquistato diversi tutorial professionali che mi aiutassero a saperne di più. La natura semplificata di Premiere Pro e di After Effects con Colorista VI mi hanno permesso di realizzarlo in maniera davvero impeccabile.
Come descriveresti questa esperienza rispetto al tuo lavoro professionale?
Penry: La prima cosa a cui penso sono le tempistiche! Sono decisamente un perfezionista quindi non sono quasi mai soddisfatto dei miei lavori. Con questo progetto ho potuto prendermi il tempo necessario per assicurarmi che ogni angolazione, ogni texture e il tempismo delle riprese fossero esattamente come li volevo. E proprio perché si è trattato di un progetto personale su qualcosa che amo e che ho realizzato con strumenti che adoro, non ho mai perso l’interesse!